• Stato dell’arte
    Benché il trapianto di fluido ruminale da esemplari sani sia applicato con successo nel trattamento dell’acidosi negli ovini, rimane ancora da scoprire il suo funzionamento e che cosa comporta a livello di comunità batterica.

  • Cosa aggiunge questa ricerca
    Attraverso un modello ovino di acidosi ruminale è stato esaminato il cambiamento della capacità fermentativa e della comunità batterica, oltre che della morfologia e funzionalità dell’epitelio locale, in seguito a trapianto di fluido ruminale.

  • Conclusioni
    Il trapianto di fluido ruminale accelera il risolversi della disbiosi e riduce il danno epiteliale indotto da acidosi, modulando inoltre l’espressione di alcuni geni che codificano per citochine e proteine di giunzione stretta.



In presenza di acidosi ruminale negli ovini, il trapianto di fluidi dal rumine di esemplari sani è una buona strategia di cura in quanto facilita il ripristino dell’equilibrio batterico e riduce il danno dell’epitelio locale. Lo dimostra lo studio coordinato da Junhua Liu della Nanjing Agricultural University cinese, e pubblicato su
The FASEB Journal.

L’acidosi ruminale è un disordine digestivo comune tra i ruminanti che incide molto sia sulla loro salute sia sulla produttività industriale. Dato il suo impatto, sono molte le strategie finora testate per la sua cura. Tra queste, il trasferimento o trapianto di fluido ruminale da esemplari sani sembrerebbe essere la migliore. Il meccanismo che sta alla base di questa procedura rimane, però, ancora poco chiaro, almeno fino a questo studio.

I ricercatori hanno suddiviso 10 pecore, nelle quali è stata indotta l’acidosi con un cambio dieta, in un sottogruppo di controllo (Con, n=5) e uno trattato con trapianto (RT, n=5). Altre 5 pecore sane sono state incluse nello studio come ulteriore confronto, nonché come fonti di fluido per l’intervento.

La raccolta dei campioni dal rumine per l’analisi della capacità fermentativa e della composizione batterica è stata eseguita in più momenti e durante tutte le fasi dello studio, ossia il primo periodo di ambientamento (30 giorni), l’induzione di patologia con oligofruttosio per il sottogruppo d’interesse (5 giorni) e la fase successiva all’eventuale trapianto (14 giorni). Al termine di tale periodo, gli animali sono stati sacrificati per la valutazione istologica. Di seguito i principali risultati.

Capacità fermentativa e acidosi ruminale

La determinazione della capacità fermentativa degli esemplari, condizione essenziale per la digestione dei nutrienti nei ruminanti, è stata condotta sia durante l’induzione di patologia sia dopo il trapianto di fluido “sano”. Ecco cosa è emerso dal confronto tra i vari gruppi e le diverse campionature.

Nella fase iniziale il supplemento di oligofruttosio nella dieta per indurre l’acidosi ha comportato:

  • tra le 8 e 36 ore successive un aumento di diarrea, depressione e anoressia;
  • un significativo decremento di pH, lattato, acidi grassi volatili (VFA), acetato e propionato, controbilanciato da un aumento di lattato entro le 48 ore.

Dopo il trapianto:

  • rispetto al gruppo Con, quello ricevente il trapianto (RT) ha mostrato un notevole incremento di introito di materia secca i primi due giorni, differenza non registrata in seguito (giorno 3, 5,6,8,10,14);
  • il gruppo RT non ha presentato più diarrea già dal secondo giorno dopo il trapianto, mentre quello di controllo ha manifestato sintomatologia diarroica per altri due giorni;
  • dopo l’intervento, nel rumine degli RT è stato registrato un decremento nei livelli di lattato e butirrato e un aumento in quelli totali di VFA, pH, acetato e propionato.

Composizione batterica e acidosi ruminale

Dalla caratterizzazione di tutti i campioni di fluido ruminale sono stati identificati un totale di 1883 OTUs unici appartenenti a 186 generi e 20 phyla. Confrontando i due gruppi (Con e RT) dopo l’intervento, si è visto che:

  • la biodiversità (ChaO1 index e Shannon index) è significativamente influenzata dalla tempistica di campionamento e dal trapianto, parametri correlati anche tra loro;
  • dall’analisi PCoA, i campioni raccolti al baseline (giorno 0) da entrambi i gruppi hanno mostrato una buona somiglianza (cluster), analogamente a quelli dei donatori (pecore sane) collezionati all’ottavo giorno con quelli del gruppo Con del 14° e quelli del gruppo RT tra il secondo e 14° giorno. Nei Con, i campioni prelevati i primi quattro giorni sono risultati distinti tra loro, simili invece quelli tra l’ottavo e il 14°. Nel gruppo RT, in generale, i campioni del pre-intervento sono risultati distinti da quelli nel post-intervento;
  • c’è una distinzione significativa tra la struttura batterica dei donatori sani e quella del gruppo Con e dei campioni pre-intervento del gruppo RT, dimostrata anche dall’analisi AMOVA.

 All’analisi della diversità strutturale è stato associato l’esame della composizione batterica in relazione sia al tempo sia all’intervento:

  • sei dei 20 phyla registrati hanno dimostrato di essere quelli più abbondanti (Bacteroidetes, Firmicutes, Actinobacteria, Proteobacteria, Tenericutes e Spirochaetae). Tutti, tranne Actinobacteria, sono risultati influenzati dal tempo nella loro concentrazione, mentre solo l’espressione di Proteobacteria ha mostrato di non dipendere dal trattamento.
  • a livello di genere, 18 hanno dimostrato predominanza, 16 di questi influenzati dal tempo di campionamento. In particolare, l’abbondanza di Streptococcus, Lactobacillus, Megasphaera, Sharpea e Bifidobacterium ha registrato un notevole decremento dopo l’intervento in entrambi i gruppi (Con e RT), raggiungendo valori fisiologici a otto ore. Di contro, generi non classificati di Christensenellaceae, Bacteroidales, Prevotellaceae, Ruminococcaceae, Lachnospiraceae, Rikenellaceae oltre che Butyrivibrio, Acetitomaculum, Ruminococcus, Succiniclasticum  e Treponema hanno mostrato un aumento con valori normali, per la maggior parte di questi, raggiunti a 14 giorni.
  • Generi non classificati di Prevotellaceae, Bacteroidales e Ruminococcaceae, insieme a Atopobium e Acetitomaculum, sono invece risultati influenzati dal trattamento. L’espressione di quest’ultimo con quella di Prevotellaceae e Ruminococcaceae, per esempio, ha mostrato un incremento significativamente maggiore nel gruppo RT rispetto ai Con il secondo giorno.

L’attenzione dei ricercatori si è quindi spostata sulla funzionalità metabolica (KEGG pathways) e la capacità fermentativa (livelli di lattato, acetato, VFA, propionato) ancora una volta in relazione al trapianto e al giorno di raccolta dei campioni:

  • delle 22 vie metaboliche dominanti, 2 sono risultate significativamente influenzate dal trattamento, 17 invece dalla tempistica
  • la concentrazione ruminale di lattato è negativamente correlata con l’abbondanza relativa di Treponema e Butyrivibrio, positivamente con quella di un non classificato Christensenellaceae e Prevotella
  • l’acetato ha mostrato un’associazione positiva con un non classificato Lachnospiraceae, il propionato con Succiniclasticum
  • i livelli di VFA totali hanno registrato una correlazione positiva con l’abbondanza relativa di Treponema, Lactobacillus, Butyrivibrio, un non classificato Bacteroidales e Prevotellaceae. Negativa invece con Prevotella.

Trapianto e morfologia

Infine, è stato determinato l’effetto protettivo dell’intervento in termini di morfologia e funzionalità dell’epitelio ruminale a 15 giorni:

  • il pH e il propionato acetato hanno mostrato valori maggiori nei gruppi Con e RT rispetto ai donatori sani;
  • il gruppo RT ha presentato i livelli massimi di acetato seguito da quello dei donatori e dei Con. Andamento inverso per il propionato;
  • rispetto ai donatori, sia Con sia RT hanno mostrato concentrazioni di VFA totali inferiori;
  • i livelli di LPS (endotossina batterica) sono risultati inferiori nei donatori e nel gruppo RT in confronto ai Con;
  • ipercheratosi e cellule morte cheratinizzate sono risultate meno visibili dopo il trapianto. Di contro, la lunghezza delle papille è aumentata portando, in generale, la morfologia cellulare in condizioni simil-fisiologiche. La larghezza rimane però inferiore a quella dei donatori. Densità e superficie papillare non hanno invece mostrato alcuna differenza significativa tra i due gruppi in seguito al trapianto
  • il gruppo RT ha presentato la più elevata espressione di mRNA IL-10 seguito da Con e donatori. Di contro, l’mRNA per TNF-alpha e Claudin-4 ha registrato i valori inferiori, insieme ai donatori, rispetto ai Con. Nessuna differenza significativa in termini di IL-6, IFN-gamma, occludina e ZO-1 epiteliali tra i gruppi.

In conclusione, in presenza di acidosi il trapianto di fluido ruminale da donatori sani:

  • aumenta le concentrazioni di acetato, propionato, butirrato e VFA totali;
  • diminuisce le endotossine batteriche (LPS);
  • accelera il risolversi della disbiosi;
  • protegge l’epitelio del rumine da danni morfologici e funzionali modulando le citochine e le giunzioni strette.

Questi dati spiegano e sostengono dunque l’utilità di questa procedura in ovini con acidosi.

VIAThe FASEB Journal
Laureata in Farmacia, Master di I^ livello in Ricerca Clinica presso l'Università di Milano. Borsista in Ricerca Biomedica dal 2017 al 2018 presso l'Istituto Mario Negri IRCCS, ha intrapreso il percorso di dottorato in Scienze Farmaceutiche all'Università di Milano. È ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania)