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Infezioni endodontiche nei cani: studio indaga ruolo del microbioma

Uno studio pubblicato su Frontiers in Veterinary Science ha analizzato il microbiota orale canino in presenza di infezione endodontica. Ecco cosa emerge.
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Infezioni endodontiche nei cani: studio indaga ruolo del microbioma

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Stato dell’arte
Nei cani le fratture dentali sono molto comuni e comportano spesso infezioni batteriche endodontiche.

Cosa aggiunge questa ricerca
Scopo dello studio è stato esaminare il microbiota correlato a infezione endodontica in 10 cani domestici, confrontandolo con quella del solco gengivale dello stesso dente e della placca sub-gengivale di denti sani.

Conclusioni
Il microbiota endodontico è nel complesso simile a quello sub-gengivale di denti sani e caratterizzato da buona ricchezza e diversità, finora sottostimate. Sono invece emerse maggiori differenze in termini di abbondanza relativa tra il microbiota endodontico e quello del solco gengivale dello stesso dente.

Contrariamente a quanto emerso da precedenti studi, nei cani il microbiota di denti con un’infezione endodontica sembrerebbe presentare caratteristiche analoghe a quello sano sub-gengivale. Differenze più accentuate in termini di abbondanza relativa sono state invece osservate tra il microbiota endodontico e quello del solco gengivale dello stesso dente.

È quanto afferma lo studio di Marjory Xavier Rodrigues e colleghi della Cornell University (USA), di recente pubblicazione su Frontiers in Veterinary Science.

Nei cani le fratture dentali sono molto comuni e causano l’esposizione della polpa dentale e la potenziale infezione del comparto dentale interno (infezione endodontica) mediata da batteri patogeni. Mentre le evidenze su questo tipo di infezioni nell’uomo sono molte, più carenti e basate su “studi in coltura” (ormai parzialmente sorpassati) sono quelle in ambito veterinario, nonostante la loro elevata incidenza e i relativi problemi di salute e costi sanitari.

Al fine di approfondire tale aspetto, i ricercatori hanno applicato un più innovativo approccio molecolare di sequenziamento genico (16S rRNA) per l’analisi del microbiota correlato a un’infezione endodontica in 10 cani di razze diverse ed entrambi i sessi. I dati ricavati da campioni prelevati all’interno del dente o endodontici (n=10) e del solco gengivale (n=10) sono poi stati confrontati con quelli relativi al microbiota sub-gengivale di denti sani già disponibili, dimostrando che:

  • i phyla in generale più abbondanti sono Bacteroidetes, Proteobacteria e Firmicutes, dati in linea con la composizione del microbiota in situazioni fisiologiche
  • l’abbondanza relativa di Bacteroidetes ha mostrato valori significativamente maggiori nei campioni endodontici (40,80%) rispetto a quelli del solco gengivale (28,29%), mentre il phylum Proteobacteria (in particolare Porphyromonas, Fusobacterium, Moraxella, Neisseria, Pasteurella, Conchiformibius, Actimomyces, Actinobacillus Propionispora e Capnocytophaga) è risultato più presente in questi ultimi ((32,18% nel solco gengivale vs 14,73% nei campioni endodontici)
  • a livello di genere, è stata rilevata un’abbondanza significativamente diversa per Porphyromonas, Bacteroides, Snowella e Fusobacterium. Tra questi, Bacteroides e Snowella sono risultati maggiormente espressi nei campioni endodontici rispetto a quelli del solco gengivale (24,70% vs 2,77%; 11,70% vs 0,79% rispettivamente) contrariamente a Porphyromonas e Fusobacterium, che sono risultati più presenti nel solco (20,86% vs 10,27%; 9,42% vs 0,51%)
  • nonostante le differenze in termini di abbondanza relativa, i campioni endodontici e del solco gengivale presentano valori di ricchezza e diversità similari data la condivisione di una buona percentuale dei generi batterici.

In conclusione, dunque, sulla base dell’approccio molecolare qui applicato, il microbiota di denti affetti da infezione endodontica non sembrerebbe diverso da quello sub-gengivale in condizioni normali.

Sono state invece osservate alterazioni più marcate dell’abbondanza relativa di determinati phyla nel solco gengivale in presenza di malattia. Ulteriori studi sono tuttavia necessari per confermare tali risultati, oltre che per identificare gli agenti eziopatologici coinvolti, la loro relazione con altri microrganismi e le eventuali variazioni nel corso della malattia.

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