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Gatti: studio USA dimostra ruolo degli SFCA nella malattia renale cronica

Un recente studio ha dimostrato che gatti affetti da malattia renale cronica presentano un aumento della concentrazione di acidi grassi fecali.
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Gatti: studio USA dimostra ruolo degli SFCA nella malattia renale cronica

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Stato dell’arte
Nell’uomo gli acidi grassi a catena lunga e ramificata (BCFA) e a catena corta (SCFAs) sono prodotti dal microbiota del colon e hanno effetti sia positivi sia negativi in soggetti affetti da malattia renale cronica (CKD). Finora, però, non è stata analizzata la presenza di acidi grassi a catena corta nelle feci di gatti con CKD.

Cosa aggiunge questa ricerca
L’obiettivo dello studio è stato di caratterizzare le concentrazioni di acidi grassi a catena corta (SCFAs) nei gatti affetti da CKD confrontandoli con quelli di gatti anziani sani, e correlare queste misurazioni a quelle di solfato indossile (IS) e solfato p-cresol (pCS). Lo studio è stato condotto su 28 gatti con CKD e su 11 gatti anziani sani. Il metodo analitico utilizzato è stato longitudinale e trasversale. Le feci sono state analizzate mediante tecnologie come gas-cromatografia e spettrometria di massa, capaci di rilevare le concentrazioni di acidi grassi nelle feci.

Conclusioni
Questo studio dimostra che gatti affetti da CKD presentano un profilo di acidi grassi a catena lunga alterato se confrontati con gatti sani; inoltre, gli acidi grassi ramificati ritrovati nelle feci sono positivamente correlati con le concentrazioni di IS e pCS nel siero.

Uno studio condotto da Stacie Summers e colleghi, recentemente pubblicato su Journal of Veterinary Internal Medicine, ha dimostrato che gatti affetti da malattia renale cronica (CKD) presentano un aumento della concentrazione di acidi grassi fecali, soprattutto negli ultimi stadi della malattia, rispetto a gatti sani anziani. Quest’aumento si accompagna fenotipicamente alla comparsa di atrofia muscolare, suggerendo, quindi, la presenza di un alterato assorbimento proteico.

Gli SCFAs, acidi grassi più abbondanti nel tratto intestinale umano, sono prodotti dal microbiota del colon. Si tratta dell’acido acetico, dell’acido propionico, dell’acido butirrico e dell’acido valerico, che si distinguono dagli acidi grassi a catena ramificata (acido isovalerico e acido isobutirrico). Questi composti sono i prodotti finali della fermentazione saccarolitica di polisaccaridi complessi e di muco epiteliale. Intervengono nella motilità intestinale, nel metabolismo dei lipidi e del glucosio e nel controllo della pressione sanguigna. Inoltre, hanno proprietà antinfiammatorie. Al contrario, i BCFAs rappresentano solo il 5% degli acidi grassi totali e sono prodotti in seguito al passaggio delle proteine attraverso l’intestino tenue e alla fermentazione microbica di aminoacidi non assorbiti nel colon. Questi prodotti sono considerati nocivi per l’intestino e possono promuovere infiammazione ed effetti negativi sulla motilità intestinale, almeno in modelli murini.

Il microbioma intestinale e i metaboliti microbici prodotti sono coinvolti nella patogenesi della CKD. Soggetti con patologie renali croniche presentano un numero di batteri “buoni” del colon, che producono SCFAs, più basso, che si associa a un aumento di batteri che, invece, producono le principali tossine uremiche, ovvero il solfato indossile (IS), il p-cresol solfato (pCS) e la trimetilammina-N-ossido.

In questo studio, le concentrazioni di acidi grassi totali nelle feci, a catena sia lunga sia ramificata, non risultano alterate, così come i livelli dei singoli acidi. Solo i livelli di acido isovalerico risultano significativamente aumentati nei gatti con CKD. Inoltre, confrontando la concentrazione totale di acidi grassi a catena lunga nelle feci e i valori dei singoli acidi grassi (acetico, propionico, butirrico con isovalerico, isobutirrico e valerico) con i segni clinici (condizione fisica generale [BCS], condizione muscolare [MCS], vomito e appetito) per tutti i gatti arruolati nello studio, sono state riscontrate differenze solo nella categoria della massa muscolare, accompagnata anche da un significativo aumento dei livelli di IS nel sangue.

L’effetto della dieta

La concentrazione di SCFA nei gatti con CKD effettivamente non differisce molto da quella rilevata in gatti anziani sani. I fattori che la influenzano sono:

  • quantità e tipo di carboidrati fermentabili consumati
  • composizione e diversità del microbiota intestinale
  • tempo di transito nel colon
  • interazioni tra microbiota e ospite.

Per questi motivi, così come per l’uomo, è consigliabile una dieta non ricca di frutta e vegetali, per limitare l’apporto di potassio nell’organismo, ed evitare quindi l’iperpotassiemia. In questo modo, però, potrebbe ridursi nel microbiota anche il numero dei microrganismi capaci di produrre acidi grassi a catena lunga, in particolare l’acido butirrico. Quindi, questa restrizione nella dieta non è particolarmente indicata per gatti affetti da CKD.

Nello studio condotto da Stacie Summers e colleghi, la dieta dei gatti arruolati era piuttosto varia e non molto attenta all’apporto di fibre. Infatti, studi precedenti dello stesso gruppo avevano dimostrato che gatti con CKD erano affetti spesso anche da disbiosi. Per chiarire il collegamento tra la composizione microbiota intestinale e la produzione di SCFA, quindi, servirebbe un’analisi metagenomica di campioni di feci congiuntamente a una analisi target per SCFAs.

Inoltre, confrontando i gatti affetti da CKD in dieta a prescrizione renale rispetto a gatti con CKD che hanno consumato una dieta di mantenimento, non sono state rilevate differenze nelle concentrazioni di SCFA; le diete renali, in particolare, sono generalmente povere di proteine: ciò spiegherebbe i bassi livelli di acido isovalerico fecale nei gatti con CKD.

In conclusione, dunque, la patologia renale cronica nei gatti è associata a un aumento dell’acido isovalerico nelle feci e a valori di pCS e di BCFA elevati che correlano con una forte azotemia e con una importante atrofia muscolare. Questi dati suggeriscono, quindi, un cattivo assorbimento proteico. Tuttavia,  gli autori dello studio ne sottolineano alcuni limiti, ovvero un’alimentazione mista o a rotazione, misurazioni di SCFA non sempre precise, possibili medicazioni nei gatti anziani arruolati che potrebbero aver inficiato i risultati e la misurazione della massa muscolare che si basava solo su esame fisico obiettivo. Saranno perciò necessari ulteriori studi rivolti a spiegare la relazione esistente tra microbiota intestinale, malassorbimento proteico, produzione di acidi grassi microbici e conseguenze cliniche in gatti affetti da CKD.

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